Terza liceo. Lezione di filosofia. “Oggi parleremo di Talete”, dico. “Riferisce Aristotele che secondo Talete il principio di tutte le cose è l’acqua. Aristotele commenta poi questa idea sostenendo che forse Talete pensa così perché vede che ‘il nutrimento di tutte le cose è umido … e anche perché i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è nelle cose umide il principio della loro natura’. Dunque dicendo che il principio di tutte le cose è umido, Talete sostiene che vi è un principio unico del divenire del mondo (monismo), che la materia primordiale è fornita di una forza intrinseca che la fa muovere (ilozoismo) e che il principio eterno del mondo è divino (panteismo)”.
I ragazzi, nel sentirmi pronunciare quelle parole così strane mi guardano un po’ perplessi. Proseguo: “per principio non si intende semplicemente ciò che sta all’inizio, e poi magari sparisce, ma qualcosa grazie al quale le cose perdurano nel loro essere, ovvero senza il quale le cose smettono di essere quello che sono. Quindi il principio (arké in greco) viene ad essere la natura necessaria delle cose, cioè significa propriamente ciò da cui le cose hanno origine e al tempo stesso il fondamento permanente di esse”. Mi guardo intorno e per rompere il ghiaccio la butto sul colloquiale: “Quanti litri di acqua consumiamo al giorno, secondo voi?” Segue un attimo di silenzio, poi si alza la voce di Massimo che risponde: “Uno”. Nell’aula si sente qualche cauto brusio che tradisce dissenso su quella risposta, ma nessuno si pronuncia in modo chiaro e deciso. “Un litro al giorno”, ripeto. “Sei sicuro?”, aggiungo. “No”, si corregge Massimo. Dio sia lodato, rimugino dentro di me; si è accorto della fesseria che ha detto. E aggiunge, correggendosi: ”Due”. Un’onda di scoramento si abbatte su di me. E’ tutto inutile, mi dico. Poi, facendomi forza nel tenere insieme il divario tra le alte riflessioni filosofiche e il livello dei ragazzi reagisco e replico: “allora siete tutti d’accordo con Massimo?” Qualcuno accenna a una replica, e senza troppa convinzione dice: “almeno venti”. “ Cento”, dice un altro. “Che cosa ci avete messo dentro quella cifra? Il lavarsi?”. Risposta. “Sì”. “Ma in bagno non ci andate mai voi?”Proseguo provando a sollecitare un minimo di riflessività. “Già”, replica qualcuno, “bisogna calcolare anche quello”. “Allora bisogna calcolare anche il numero delle volte che mediamente andiamo in bagno, calcolando l’acqua necessaria ogni volta per ripulire”. Segue una breve discussione su quante volte al giorno andiamo in bagno e sull’esistenza o meno dei due bottoni, quello grande e quello piccolo, su quello che da queste parti si chiama sciacquone. Dopo un primo calcolo approssimativo, se ognuno di noi va almeno cinque volte in bagno e ogni volta che andiamo in bagno se ne vanno via almeno 5 litri di acqua, occorrono 25 litri. Quindi siamo a … 2 litri, più quelli che servono per lavarsi, più quelli per andare in bagno. Calcolando quindici litri per lavarsi, fanno in tutto … 42. “E’ tutto?” Insisto come ad invitare a un conteggio più ponderato. Ci vuole un po’ per ché venga fuori il lavaggio dei piatti e quello delle stoviglie.” E per le pulizie di casa?” Aggiungo. “Beh, prof. , ma lei è proprio pignolo!” “Non si tratta di pignoleria, ragazzi, ma di consapevolezza”. “E’ tutto?” insisto ancora. “Beh, ma cos’altro vuole calcolare, la pulizia della strada?”. Mi fermo e chiedo: “Scusate, ma per fare un conto più scientifico del consumo procapite giornaliero di acqua, come fareste?” Dopo un po’ viene fuori la bolletta dell’acqua. Compito per la prossima lezione: calcolate quanti litri di acqua procapite si consumano a casa vostra basandovi sui consumi indicati dalla bolletta dell’acqua.
Chiedo ancora: a questo punto, secondo voi il calcolo dei nostri consumi di acqua è definitivo? La risposta è: “Sì”. “Beh, volendo si potrebbe calcolare anche quanta acqua ci vuole per produrre il nostro cibo”. “E come si fa a calcolarla?” chiedono i ragazzi. Rispondo che secondo alcuni studiosi per produrre una caloria ci vogliono 20 litri di acqua e calcolando un fabbisogno giornaliero di 2000 calorie al giorno, fa … 40.000. Tombola! I ragazzi rimangono allibiti. Hanno fatto già un lungo percorso verso la consapevolezza della quantità enorme di acqua che serve per riprodurre la nostra vita. La prossima volta, proseguo, confronteremo i consumi procapite tramite i calcoli sulla bolletta dell’acqua. Rinuncio, se non accennandovi di passaggio, a introdurre il tema del consumo di acqua per produrre beni industriali, per esempio un’auto. Per oggi, mi dico, non stressiamoli ulteriormente. Mi chiedo: se in terza liceo il grado di consapevolezza in relazione al solo consumo di acqua è questo, immaginiamoci la consapevolezza relativa al resto. Il mio scopo non è quello di colpevolizzarli, magari facendo un confronto coi consumi pro capite di acqua in Africa, ma di portare consapevolezza. Mi viene in mente una considerazione di Todorov: “Di che cosa ha bisogno l’uomo? – si chiede Todorov ne Il secolo delle tenebre – Gli abitanti dei paesi democratici, o per lo meno i loro porta parola, hanno frequentemente creduto che egli non aspiri che alla soddisfazione dei suoi desideri immediati e dei suoi bisogni materiali: più comfort, maggiori facilità, più svaghi. Gli strateghi del totalitarismo si sono rivelati, a riguardo, migliori antropologi e migliori psicologi. Gli uomini hanno certamente bisogno di comfort e di piacere, ma ancora di più, in modo meno percettibile e tuttavia più imperioso, hanno bisogno di beni che il mondo materiale non procura loro: pretendono che la loro vita abbia un senso, che la loro esistenza trovi una collocazione nell’ordine dell’universo, che tra loro e l’assoluto si stabilisca un contatto”. Quello che è in gioco, oltre alla consapevolezza circa i consumi, gli sprechi e l’impatto idrico della nostra vita, insieme alle disparità nella ripartizione delle risorse del pianeta, è il nostro bisogno di trascendenza, la nostra collocazione nell’universo, condensata da Panikkar nel termine cosmoteandrismo (unione di cosmo, dio e uomo). Un brivido mi corre lungo la schiena. C’è troppa distanza tra gli assunti impliciti di questi ragazzi, assorbiti in modo totalmente irriflesso dalla cultura dominante e la mia capacità di aiutare questi ragazzi ad esplicitare quegli assunti, tra cui un bisogno di trascendenza che sono sicuro ci sia, ma di cui stento a individuare la forma. A quell’attimo di sgomento, per fortuna, viene in soccorso il suono della campanella.
* Stefano Zani insegna Storia e filosofia nei licei con l’impegno di fare dei suoi studenti dei cittadini del mondo, fedele alla parola d’ordine di Ernesto Balducci : problemi planetari, coscienza planetaria. Impegno quanto mai attuale in tempi in cui ai problemi planetari si tenta di rispondere con una coscienza tribale e regressiva. La sfida è quella di maturare una coscienza all’altezza delle sfide del nostro tempo a partire dalla concretezza materiale e quotidiana del nostro stile di vita. Da questo punto di vista il nostro rapporto con un bene vitale come l’acqua costituisce un banco di prova esemplare per diventare cittadini del mondo.